“Una coca cola…”.
Così rispose con gli occhi rivolti a terra, le mani intrecciate ed i piedi composti.
Aveva su per giù 7 anni. Vestiti troppo grandi, sporchi, e non aveva scarpe al piede.
“Una coca cola…”. Tutto qui.
Non l’aveva mai bevuta.
Era uno di quei piccoli venditori ambulanti mandati in giro da genitori rom che si trovano nei pressi di ogni ristorante o angolo della strada. Vendeva accendini ed aiutava la famiglia economicamente. Forse, non andava neppure a scuola, benché rispose di si.
Una “coca cola”. Non soldi, non cibo, non vesti.
Il bambino voleva sapere del gusto di quella bevanda che non si era mai potuto permettere. Qualche suo fratello l’aveva già assaggiata ed aveva passato ore ed ore a raccontarne il gusto frizzante, la freschezza nel palato, il sapore unico di una bevanda creata dai ricchi. Voleva entrare nella cerchia di coloro che avevano bevuto una coca cola. Tutto qui.
Dopo poco tempo, il mio bicchiere, giallo di succo di ananas, faceva compagnia ad un altro bicchiere, scuro di coca cola, cancrenato di capitalismo.
Buondì mondo